La Legacoop Produzione e Servizi ha auspicato già dalle prime settimane dall’inizio della pandemia un provvedimento che potesse:
- affrontare le criticità da essa generate sulle gare in corso di esecuzione
- velocizzare l’affidamento delle gare d’appalto e la realizzazione di infrastrutture attese da anni.
Il decreto affronta tali problematiche, recependo buona parte delle proposte avanzate dal fronte imprenditoriale, soprattutto con riguardo alla prima tipologia di difficoltà, forse con la sola eccezione di una specifica disposizione sul riequilibrio dei contratti in corso che fungesse da kick off per un percorso di revisione comunque già disciplinato dal Codice dei Contratti Pubblici.
Per quanto riguarda la seconda tipologia di difficoltà, non c’è dubbio invece che il decreto intervenga soprattutto sulla fase di gara, definendo disposizioni in deroga al Codice dei Contratti Pubblici validi fino alla fine del 2021.
Confidiamo che, nei prossimi mesi, possa essere affrontata anche la lentezza decisionale che sta a monte delle gare e possano essere chiariti, almeno in via interpretativa, alcune delle problematicità che il decreto ha lasciato sul tappeto e che di seguito proviamo ad evidenziare.
A) Gli effetti sulle gare
Una prima evidenza empirica degli effetti sul mercato del Decreto Semplificazioni è ricavabile dai dati del Centro Studi INTEGRA[1].
Secondo i dati del Centro Studi del Consorzio Integra, nel terzo trimestre 2020 il mercato pubblico delle costruzioni ha registrato, in termini di importo complessivo di gare pubblicate, una considerevole flessione (-26%) rispetto allo stesso periodo del 2019.
Per quanto riguarda il numero di gare pubblicate il calo è analogo e pari al 27%, passando dalle n. 3699 gare del terzo trimestre 2019 alle n. 2699 del terzo trimestre 2020.
Per quanto concerne i bandi di Servizi di Ingegneria e Architettura la riduzione è del 41% per numero e del 49% per importo nel mese di agosto e del 25,3% nel numero e del 27,7% in valore nel mese di settembre[2].
Le ragioni di tale riduzione possono essere collegate all’entrata in vigore di una nuova normativa (c.d. shock normativo) e dal comportamento attendista delle stazioni appaltanti per utilizzare un disciplina semplificata e maggiormente discrezionale per gli affidamenti.
I dati dei prossimi mesi ci forniranno maggiori informazioni a riguardo.
Ovviamente la riduzione del livello di concorrenza nelle gare di appalto era uno degli obiettivi del decreto che ha individuato un articolato (per settori e per importi) sistema di deroghe alle procedure di gara ordinarie che, probabilmente nei lavori e nei servizi di architettura e ingegneria (SIA), è andato ben oltre la necessità di sbloccare i cantieri fermi per ragioni amministrative o esecutive, soprattutto in considerazione del fatto che è soprattutto nella fase a monte della gara che troviamo le maggiori difficoltà a procedere speditamente.
In particolare, nelle gare sopra soglia sembra eccessiva la sovrapposizione della disciplina derogatoria definita dall’articolo 2, comma 4, del decreto, con quella dei commi 2 e 3 del medesimo articolo e dall’articolo 9, perché foriera di incertezza e contraddizioni applicative.
Infatti, queste ultime disposizioni individuano già tre differenti regimi derogatori:
- il primo (articolo 2, comma 2) di carattere generale che consente un utilizzo più flessibile della procedura ristretta e di quella competitiva con negoziazione che, ricordiamo, prevede che solo gli operatori invitati possono presentare un’offerta in seguito alla valutazione delle informazioni fornite - rectius i requisiti minimi; tale offerta costituisce la base per la successiva negoziazione. Per limitare il numero di operatori da invitare, la stazione appaltante può utilizzare il meccanismo della c.d. “forcella”; in tal caso, il numero minimo degli invitati non può essere inferiore a 3;
- il secondo (articolo 2, comma 3) dedicato alle opere necessarie a contrastare gli effetti della pandemia, con possibilità di utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara;
- il terzo (articolo 9), gestito dai Commissari straordinari individuati con DPCM, per gli interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecnico–amministrative ovvero che comportano un rilevante impatto sul tessuto socioeconomico a livello nazionale, regionale o locale.
Il sistema così delineato sembrava sufficiente a consentire interventi veloci in tutti gli ambiti delle opere pubbliche, mantenendo un livello minimo di concorrenza nel mercato.
Invece, le procedure di affidamento definite dal comma 4, utilizzabili, in considerazione dell’ampio elenco dei settori interessati, per tutte le opere infrastrutturali, travolgono il sistema di deroghe delineato dalle disposizioni precedenti, consentendo affidamenti fuori dalle regole generalizzati.
Risulta, inoltre, ancora poco chiaro quali regole residue debbano essere applicate a tali tipologia di affidamenti in considerazione della salvaguardia dell’applicazione, oltre che della normativa antimafia e di quella penale, “dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE, dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e delle disposizioni in materia di subappalto”.
Inoltre, la riduzione indiscriminata dei tempi per la presentazione delle offerte prevista dal decreto impedisce la predisposizione di un’offerta responsabile da parte delle imprese. In particolare, per gli appalti più complessi, le stazioni appaltanti rischiano di assicurarsi solo contratti di difficile gestione, con riserve, sospensioni, allungamenti dei tempi derivanti dal mancato approfondimento della gara.
Tale rapidità di presentazione potrebbe anche produrre offerte non sufficientemente chiare e complete ai fini di una loro seria valutazione e della conseguente selezione del concorrente.
Infine, occorre segnalare la gravissima incertezza che sta producendo, in fase di presentazione della busta amministrativa, la revisione dell’articolo 80, comma 4 del Codice dei Contratti Pubblici, in materia di correttezza fiscale degli operatori economici.
La disposizione rivede la disciplina delle clausole di esclusione alla luce delle richieste della Commissione Europea contenute nella procedura di infrazione aperta nel febbraio del 2019, e prevede la possibilità di esclusione in caso di mancato pagamento di contributi e imposte, anche in presenza di contenziosi non conclusi.
La norma era già stata introdotta nel nostro ordinamento dal DL 32/19, recependo pedissequamente il disposto dell’atto di infrazione, senza tenere in alcun conto la disciplina vigente in materia di documentazione della regolarità contributiva e fiscale delle imprese. Recependo le forti proteste del mondo imprenditoriale, essa non fu convertita.
L’attuale versione, seppur parzialmente modificata, non risolve i problemi sollevati da quella precedente, in particolar modo con riguardo al mancato pagamento delle imposte e rischia di produrre un livello di incertezza tra gli operatori ancora più grave di quello sorto con la riforma dell’illecito professionale.
L'illecito professionale diventa rilevante e interdittivo della partecipazione alla gara se ed in quanto valutato grave dalla stazione appaltante attraverso l'esercizio della sua discrezionalità tecnica. Non vi è un automatismo nella esclusione della gara; vi è sicuramente un'attenuazione delle garanzie per il concorrente, ma siamo nell'ambito di una discrezionalità tecnica molto ampia, che rimane censurabile per illogicità e irrazionalità dalla magistratura amministrativa.
Viceversa, riguardo alle pendenze tributarie, malgrado il testo reciti che l'operatore può (e non deve) essere escluso se non ha ottemperato agli obblighi, non pare prefigurarsi analoga valutazione, ma solo l'esercizio o meno della facoltà di escludere in relazione al semplice fatto della pendenza, senza alcuna valutazione dei fatti, dei motivi (per le irregolarità fiscali operano sovente meccanismi di accertamento presuntivo i cui risultati sono contestati in un’alta percentuale di casi) e dell'entità che, oltretutto, non sono di piena conoscenza per la stazione appaltante.
Si ritiene, pertanto, necessario procedere, se non alla soppressione, maggiormente coerente comunque con la procedura fiscale di accertamento vigente nel nostro Paese, ad una sua correzione attraverso:
- un innalzamento dell’importo, oltre il quale viene considerata grave la violazione, anche collegandolo al fatturato dell’impresa ovvero all’importo dell’appalto;
- un rinvio ad un decretazione attuativa (sulla falsariga di quanto previsto per la regolarità contributiva) che fornisca indicazioni alle stazioni appaltanti in merito alla gravità della violazione sulla base:
- della natura della sanzione;
- della causa della violazione, spesso collegata all’incertezza interpretativa della normativa;
- dello stato del contenzioso tributario in corso.
Sono stati presentati, già nel decreto agosto, emendamenti in tal senso che, seppur non approvati per ragioni di estraneità della materia, sono stati sottoscritti da maggioranza e opposizione, evidenziando che il problema sia ben chiaro al legislatore e che, quindi, auspichiamo possa essere risolto al più presto.
B) in fase di esecuzione
Al fine di individuare modalità di prosecuzione della realizzazione delle opere pubbliche, l’articolo 5 del decreto definisce, in deroga alla disciplina prevista dal Codice dei Contratti Pubblici e fino alla fine del 2021, le possibili cause di sospensione dei lavori sopra soglia:
- cause derivanti dal codice penale e dal codice antimafia;
- gravi ragioni di ordine pubblico, di salute pubblica;
- gravi ragioni di ordine tecnico in relazione alla corretta esecuzione dell’opera;
- gravi ragioni pubblico interesse.
Al di fuori di queste, le parti non possono invocare l’inadempimento della controparte o di altri soggetti per sospendere l’esecuzione dei lavori, ciò in deroga all’art. 1460 Cod. civile (“eccezione di inadempimento”). Da ciò ne consegue, che nel caso di inadempimento della stazione appaltante per mancato pagamento del corrispettivo, l’appaltatore non può invocare la sospensione dell’opera pubblica avendo l’obbligo di proseguire l’appalto. Ciò potrebbe generare una crisi finanziaria dello stesso, valutabile dalla stazione appaltante/collegio consultivo quale causa di risoluzione del contratto ex art. 5 c. 4 D.L. n. 76, ancor più (invero con risvolti paradossali) se dalla crisi finanziaria dovesse derivare anche il ritardo nello svolgimento dei lavori.
La necessità di individuare strumenti alternativi di risoluzione delle controversie in fase di esecuzione era un esigenza molto sentita dagli operatori economici, in considerazione del fatto che il combinato disposto del Codice 50 del 2016 e della “paura della firma” aveva confinato il contenzioso tra impresa e stazione appaltante nella giustizia ordinaria che, considerati i suoi tempi, ha prodotto gravissime ripercussioni finanziarie sulle imprese.
L’introduzione del collegio consultivo tecnico (articolo 6 del decreto) rappresenta senza dubbio un passo avanti in tal senso e, pertanto, alla luce del fatto che, finora, i termini stabiliti dalla disposizione per la costituzione dei collegi non risultano rispettati a causa della resistenza delle stazioni appaltanti, occorre monitorarne attentamente l’attuazione e cercare di comprendere e superare le obiezioni della Pubblica Amministrazione.
C) A proposito dei consorzi
Infine, non si può non evidenziare una modifica riguardante i consorzi cooperativi e artigiani che non possiamo non accogliere con particolare favore.
Infatti, il Decreto-Legge ha definitivamente chiarito, all’articolo 8, comma 5, lettera a-ter), le modalità di partecipazione alle gare d’appalto dei consorzi, in primo luogo artigiani, quando questi siano a loro volta indicati quali esecutori da un consorzio cooperativo.
Come noto, nonostante l’ANAC avesse più volte espresso pareri favorevoli in materia, in particolare, nella Deliberazione n. 1 del 10/01/2007 oppure più recentemente nel Bando-tipo n. 2 sulle procedure aperte per l’affidamento di contratti pubblici di servizi di pulizia, (deliberazione n. 2 del 10 gennaio 2018), le stazioni appaltanti non sempre condividevano tale orientamento, impedendo quindi l’indicazione dei consorzi quali esecutori.
La modifica introdotta all’articolo 48, comma 7, del Codice dei Contratti Pubblici, prevede che il consorzio designato debba, a sua volta, indicare in gara il consorziato che eseguirà i lavori; tale indicazione presuppone, pertanto, in modo altrettanto chiaro, che un consorzio cooperativo o artigiano possa indicare un proprio consorzio associato quale esecutore.